In Italia due laureati su tre dicono “no” a uno stipendio da 1.250 €

In Italia quattro laureati in Medicina e Legge su dieci sono «figli di» e per la prima volta da 12 anni, aumentano i fuoricorso

La laurea in Italia paga, ma meno rispetto ad altri Paesi. Chi emigra guadagna una volta e mezzo rispetto a chi resta. Parliamo di circa 1.400 euro netti per i neolaureati magistrali in Italia contro i 2.174 euro all’estero.

Nonostante gli stipendi siano aumentati in termini assoluti, negli ultimi due anni non hanno tenuto il passo con l’inflazione, portando a una riduzione in termini reali, come per la maggior parte delle retribuzioni.

L’ultimo Rapporto Almalaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati in Italia, presentato all’Università di Trieste, evidenzia un approccio più selettivo dei giovani verso il mercato del lavoro.

Due laureati su tre in Italia dicono no a uno stipendio da 1250 Euro al mese

Alla domanda “Accetteresti uno stipendio di 1.250 euro al mese?”, quasi il 60% dei neolaureati triennali e il 66% di quelli magistrali ha risposto no, un aumento rispetto all’anno scorso. Marina Timoteo, direttrice di Almalaurea, spiega che i laureati sono meno disposti ad accettare lavori a basso reddito o non coerenti con il loro percorso formativo.

A un anno dalla laurea, solo il 38,1% dei laureati di primo livello e il 32,9% dei laureati di secondo livello accetterebbe una retribuzione di 1.250 euro, in calo rispettivamente di 8,9 e 6,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Anche la disponibilità ad accettare un lavoro non coerente con gli studi è in calo: 76,9% dei laureati triennali e 73% dei magistrali.

In Italia due laureati su tre dicono "no" a uno stipendio da 1.250 €
In Italia due laureati su tre dicono “no” a uno stipendio da 1.250 € | Unsplash @Elisaveta Bunduche – informagiovanirieti

 

Risultato: per la prima volta da dodici anni (a parte il tonfo del 2020 legato al Covid) il tasso di occupazione a un anno dalla laurea è sceso di più di un punto percentuale, passando dal 75,4 al 74,1 per i triennali e dal 77,1 al 75,7 per i magistrali. In compenso aumentano i contratti a tempo indeterminato, mentre la percentuale di occupati a 5 anni dal titolo è in leggera flessione per i magistrali (-0,5 per cento) e in aumento per i triennali (+1,5 per cento).

Entrambi viaggiano attorno al 90 per cento, ma negli ultimi dieci anni i laureati magistrali sembrano arrancare sempre più rispetto ai triennali: il loro tasso di occupazione l’anno scorso è sceso all’88,2 per cento contro 93,6 per cento dei laureati triennali. Quanto agli stipendi, a 5 anni dalla laurea, si passa da 1.384 a 1.706 euro per i laureati triennali e da 1.432 a 1.768 euro per i magistrali. I più «ricchi» sono gli informatici che guadagnano 2.146 euro al mese, i più poveri gli insegnanti: 1.412 euro.

Il Rapporto sottolinea anche un altro dato significativo: il fatto che la laurea da noi continui a essere sostanzialmente un titolo che si trasmette di padre in figlio. La composizione socio-economica e culturale dei laureati non rispecchia per nulla quella del Paese.

Un laureato su tre è figlio di laureati (mentre solo il 20 per cento della popolazione adulta lo è: l’Italia è maglia nera in Europa…), e uno su cinque proviene da una famiglia di imprenditori, liberi professionisti e dirigenti (uno su tre nel caso delle lauree a ciclo unico come Giurisprudenza e Medicina.

Per questi l’ereditarietà dei corsi di laurea è ancora più stringente: circa il 40% dei laureati in Giurisprudenza e in Medicina sono figli d’arte. Avvocati, magistrati o notai nel primo caso (39,9%), medici o farmacisti nel secondo (42,3%).

I dati del rapporto scontano ancora l’effetto che ha avuto l’emergenza Covid sul percorso accademico degli intervistati. Non è un caso se la regolarità degli studi, cioè la percentuale di studenti che si sono laureati in tempo, dopo una lunga serie positiva, si è arrestata: dopo 12 anni nel 2022 si è assistito per la prima volta ad un lieve ridimensionamento della quota di laureati regolari (-1 per cento), nonostante fosse stata accordata una proproga dell’anno scolastico per le tesi.

Due laureati su tre, il 61,5 per cento, hanno comunque concluso nei tempi. L’età media di laurea per il 2023 è pari a 25,7 anni, 24,5 per i laureati della triennale e 27,1 per i magistrali e le lauree a ciclo unico: un dato che comprende anche chi si è iscritto in ritardo – in media un anno e mezzo – rispetto alla maturità.

Si è stabilizzato rispetto allo scorso anno anche il dato che riguarda il voto medio di laurea: è di 104/110, più alto di quasi due punti rispetto a dieci anni fa quando era di 102,4/110. Sono in ripresa infine anche tutte le attività extra accademiche dopo lo stop degli anni del Covid: così i tirocinii, il lavoro durante gli studi e le esperienze di studio all’estero.

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