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Lavoro

Riduzione dell’orario di lavoro: il 67% degli occupati sarebbe favorevole

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Giulia De Sanctis

Secondo l’ultimo rapporto del Censis, la riduzione dell’orario di lavoro lo chiede il 67% degli occupati e delle occupate

In Italia, il 67% degli occupati vorrebbe una riduzione dell’orario di lavoro: questo è quanto fotografato dall’ultimo rapporto Censis, centro di ricerca socio-economica, sul benessere e il welfare aziendale, che dimostra come il rapporto tra il tempo della vita e il tempo del lavoro nel Belpaese sia un tema centrale per lavoratori e lavoratrici di tutte le fasce d’età.

Il dato rileva la crescente insoddisfazione rispetto alle datate politiche occupazionali italiane, che rendono lo Stivale uno dei paesi in cui si lavora di più, con 3 ore aggiuntive rispetto alla media europea, 6 in più rispetto alla Germania.

Molti lavoratori favorevoli alla riduzione dell’orario lavorativo

Meno lavoro e maggiore attenzione al benessere psicologico sono le richieste più condivise tra i lavoratori e le lavoratrici italiane.

Il 65,5% dei giovani, il 66,0% degli adulti e il 69,6% degli over 50 vuole meno ore di lavoro o una settimana corta e il 30,5% degli occupati ha già smesso di accettare chiamate o mail fuori dall’orario di lavoro per dedicare più tempo alla propria vita.

Molti lavoratori sarebbero favorevoli alla riduzione di ore settimanali | pixabay @anaterate – Informagiovanirieti.it

 

Allo stesso modo, il 61,7% chiede che le aziende siano più attente al benessere psicofisico dei dipendenti. Altro tema è il benessere sul luogo di lavoro, che unisce la platea di occupatə in Italia: l’83,8% degli intervistati chiede l’introduzione di piani di welfare aziendale nelle società che non ne hanno e l’84,3%, tra chi già ne beneficia, vorrebbe venissero potenziati.

Inoltre, il 79,5% dei partecipanti al sondaggio apprezzerebbe un aumento retributivo corrisposto sotto forma di una o più prestazioni di welfare.

I numeri del Censis non sono affatto sorprendenti e rispecchiano un’interesse, se non una richiesta esplicita, per l’applicazione di modelli occupazionali alternativi, come la settimana di 4 giorni a parità di salario.

Esperimenti condotti in Regno Unito, e anche in Italia, da parte di alcuni aziende tra cui EssilorLuxottica, Lamborghini e Banca Intesa Sanpaolo, hanno dimostrato come la riduzione dell’orario lavorativo non solo non compromette l’economia, ma al contrario migliori la produttività e soprattutto il benessere dei dipendenti.

Infatti, lavorare troppo significa stancarsi e la stanchezza sul lavoro è un rischio per la sicurezza: uno dei principali argomenti a sostegno della richiesta di riduzione dell’orario di lavoro riguarda gli effetti negativi sulla salute derivanti da orari di lavoro prolungati.

A causa dell’insorgenza della fatica, i lavoratori hanno maggiori probabilità di avere un incidente, mentre la fatica persistente potrebbe tradursi in gravi problemi di salute.

Numerosi studi hanno dimostrato la stretta relazione tra orario di lavoro e salute (Artazcoz et al., 2009; Bannai e Tamakoshi, 2014; Sparks et al., 1997).

In particolare, gli orari di lavoro prolungati sono legati a malattie del cuore, a uno stato depressivo, a sentimenti di ansia e a una ridotta qualità del sonno. Inoltre, si è riscontrato che l’aumento dell’orario di lavoro è legato ad uno stile di vita meno salutare, che comprende il fumo, il consumo di alcol e l’aumento di peso.

Inoltre, uno studio americano (Dembe et al., 2005) ha dimostrato che il lavoro straordinario è associato ad una possibilità significativamente maggiore di infortuni.

Non senza ragione, la Direttiva europea sull’orario di lavoro (2003/88/CE) motiva esplicitamente il suo fondamento normativo sugli effetti negativi dei lunghi orari di lavoro sulla salute dei lavoratori. La Carta europea dei diritti fondamentali evoca altresì il diritto di ogni lavoratore a una limitazione dell’orario di lavoro, a ferie annuali e a periodi di riposo garantiti, nel rispetto della sua salute, della sua sicurezza e della sua dignità.

Tuttavia, all’apertura dimostrata dai privati e da grandi aziende come quelle citate, all’avanguardia nell’applicazione di politiche come la settimana corta, non è corrisposta una simile reattività da parte delle istituzioni, sia per quanto riguarda il tempo del lavoro, sia rispetto ai salari.

Infatti, oltre a lavorare 3 ore in più rispetto alla media europea, l’Italia è anche l’unico paese dell’Unione in cui gli stipendi sono diminuiti dagli anni Ottanta e uno dei sei in cui non è previsto un salario minimo.

Nonostante ciò, il governo guidato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è fermamente opposto sia alla proposta di introdurre un salario minimo, sostenuta da Partito democratico e Movimento 5 Stelle, sia a quella per ridurre l’orario di lavoro, presentata dal Movimento 5 stelle.

Mentre deve ancora comparire sul radar politico un partito che sostenga seriamente la riduzione a 4 giorni della settimana lavorativa.

Secondo lo scrittore olandese Rutger Bregman la riduzione dell’orario di lavoro porterà cambiamenti positivi in quasi tutti i campi della nostra vita, dalla sicurezza dei lavoratori ai problemi ambientali, allo stress, alla disuguaglianza, alla felicità e, non da ultimo, alla disoccupazione (Bregman, 2016).

Questa potrebbe sembrare un’ipotesi a lungo termine, ma in realtà la letteratura sulla riduzione dell’orario di lavoro individua un gran numero di motivi per i quali dovremmo lavorare meno, anziché di più.

In quella letteratura compaiono due grandi tendenze. Da un lato, alcuni difendono la riduzione dell’orario di lavoro da un punto di vista pragmatico: l’orario di lavoro dovrebbe essere ridotto per migliorare la distribuzione dell’occupazione, le relazioni di genere, le condizioni di lavoro, ecc.

Un altro approccio è – se vogliamo – più ideologico, e considerare la riduzione dell’orario come un mezzo per mettere in discussione i fondamenti dell’attuale organizzazione capitalistica e consumistica della società.

Divario occupazionale di genere e maggiore equilibrio tra lavoro retribuito e vita privata

Un’altra grave mancanza di interventi risolutivi da parte delle istituzioni, fotografata dallo studio del Censis, riguarda il divario occupazionale di genere.

Per le donne senza figli il tasso di occupazione è del 66,3%, contro un 76,7% degli uomini senza figli, mentre per le donne con figli è di appena il 58,6% contro l’89,3% degli uomini con figli.

Mamma separata con figli – Pexels @Elina Fairytale – Informagiovanirieti.it

 

Si tratta di un divario di -30,7 punti percentuali a scapito delle donne, circa il doppio rispetto a Francia, Germania e Spagna. Inoltre, i figli contribuiscono attivamente a far perdere il lavoro alle donne, con 44,7 mila madri con figli fino a un anno di età che si sono dimesse o hanno avuto una risoluzione consensuale del lavoro nel 2022, contro appena 16,7 mila padri.

Allo stesso modo, ma non solo per le donne, la riduzione dell’orario di lavoro può contribuire a raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro retribuito e vita privata.

La settimana di35 ore in Francia non si concentrava sul raggiungimento di una maggiore parità di genere: l’esperimento può, tuttavia, essere utilizzato per valutare possibili cambiamenti nei ruoli di genere.

Il rapporto di valutazione dell’Assemblea nazionale francese (Assemblée Nationale, 2014) fornisce alcuni spunti di riflessione: secondo diversi studi e indagini, la settimana di 35 ore ha stimolato gli uomini a occuparsi maggiormente dei bambini e della famiglia, alleviando così il peso che grava perpetuamente sulle spalle delle donne.

Tuttavia, non ha provocato un cambiamento fondamentale nei ruoli di genere e le donne hanno continuato ad essere responsabili della maggior parte dell’assistenza e del lavoro domestico.

La settimana lavorativa di 35 ore ha invece arginato la tendenza delle donne ad accettare il lavoro a tempo parziale, il che potrebbe essere considerato incoraggiante in termini di parità di genere.

Tuttavia, il problema della conciliazione tra vita professionale e vita privata non si presenta solo nei nuclei con modelli familiari tradizionali: per le famiglie monoparentali questo problema si presenta ancora più pesante.

Secondo statistiche dell’UE, nel 2011, le famiglie monoparentali rappresentavano quasi il 16 per cento di tutte le famiglie dell’UE 28 e la maggior parte dei genitori single sono donne.

Secondo i dati dell’indagine europea sulle condizioni di lavoro, nel 2010 circa il 18% dei lavoratori ha avuto problemi a conciliare la vita lavorativa e non lavorativa.

È chiaro come l’orario di lavoro sia direttamente collegato al tema della conciliazione vita-lavoro: una rassegna di oltre 60 studi, realizzata da Albertsen e i suoi colleghi (2008), ha mostrato che quasi tutti gli studi sul rapporto tra orari di lavoro lunghi e conciliazione hanno rilevato significativi effetti negativi.

Nell’UE 28, nel 2015, il 33,3% dei lavoratori che hanno lavorato più di 41 ore settimanali ha segnalato problemi di conciliazione tra lavoro retribuito e altre sfere della vita, rispetto al 15,6% di coloro che lavorano 35-40 ore settimanali e solo l’11,2% di coloro che lavorano 3034 ore settimanali (calcoli indipendenti dell’Indagine europea sulle condizioni di lavoro).

Naturalmente, l’orario di lavoro non è l’unico fattore che influisce sull’equilibrio tra lavoro e vita privata. Insieme al volume delle ore di lavoro, giocano un ruolo l’utilizzo dello straordinario e la prevedibilità degli orari di lavoro.

Inoltre, hanno un’influenza anche aspetti legati al lavoro, come le pressioni in termini di tempo e il tipo di lavoro: oltre alle questioni legate al lavoro, l’equilibrio tra lavoro e vita privata è influenzato anche da fattori legati alla famiglia, come il tipo di famiglia, il sostegno del partner (se presente), le esigenze di cura dei bambini, ecc.

Da ciò ne consegue che la riduzione del solo volume delle ore di lavoro potrebbe produrre alcuni effetti benefici, laddove si riscontrano problemi di vita lavorativa, ma non risolverà il problema nella sua interezza.

Inoltre, se la riduzione dell’orario di lavoro va di pari passo con l’aumento della pressione del lavoro, degli straordinari o di orari di lavoro imprevedibili, l’effetto complessivo potrebbe addirittura essere negativo.

Se il tempo familiare non è equamente ripartito, le donne potrebbero ritrovarsi con un numero relativamente maggiore di compiti domestici e familiari e, di conseguenza, trovare ancora più difficile conciliare l’occupazione con la vita privata.

 

Giulia De Sanctis

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