Uno degli aspetti meno analizzati della guerra tra Israele e Hamas è il suo impatto sulla crisi climatica, misurato da un nuovo studio.
Uno studio che coinvolge diverse università inglesi ha analizzato parzialmente l’impronta climatica che la guerra tra Israele e Hamas sta avendo sull’ambiente. L’anidride carbonica emessa dalle sole operazioni militari supera quella di diversi Paesi del mondo e lo studio non calcola le conseguenze successive della ricostruzione di Gaza.
La guerra viene analizzata raramente sotto l’aspetto ambientale. I conflitti, ma anche gli addestramenti delle truppe, non vengono conteggiati nelle attività antropiche che influiscono sul cambiamento climatico. Si calcola però che impattino per circa il 6% del totale delle emissioni di anidride carbonica nel mondo. La guerra a Gaza in particolare si sta rivelando molto inquinante a livello di gas serra, per diversi motivi.
Uno studio che include numerose università inglesi ha dimostrato che il conflitto tra Hamas e Israele ha emesso più di 280.000 tonnellate di CO2 in due mesi. Si tratta di una quantità di anidride carbonica pari a quella di 150.00 tonnellate di carbone. La buona parte di queste emissioni deriva soltanto dalle attività belliche più inquinanti prese in considerazione dallo studio.
Si tratta dei voli aerei militari e di rifornimento verso Israele, dell’impiego e della costruzione e riparazione dei carri armati e soprattutto dei bombardamenti. Lo studio rivela che la quasi totalità dell’anidride carbonica prodotta a Gaza negli ultimi due mesi deriva proprio dalle esplosioni causate dalle bombe di Israele.
Questa stima è comunque al ribasso. Lo studio non ha un orizzonte così ampio da coprire ogni attività legata all’invasione di terra e ai bombardamenti. Per questa ragione si calcola che le stime reali potrebbero essere tra le 5 e le 8 volte superiori a quelle presenti nelle conclusioni dello studio.
A guerra finita però, dice uno degli autori dello studio, le cose potrebbero non migliorare così velocemente. Quando le operazioni militari termineranno, Israele avrà distrutto un’enorme quantità di edifici presenti a Gaza. Questo porterà di conseguenza a una grande campagna di ricostruzione della Striscia, con mezzi che con ogni probabilità non saranno all’avanguardia per il rispetto ambientale, date le condizioni economiche depresse dell’area.
Secondo i ricercatori, queste operazioni produrranno circa 30 milioni di tonnellate di CO2 per gli oltre 100.000 edifici distrutti da ricostruire. Cifre enormi, che superano le emissioni annuali di diversi Paesi sviluppati. Quella della ricostruzione sarà una questione complessa dal punto di vista climatico, ma non l’unica che caratterizzerà il periodo successivo alla fine del conflitto.
La guerra crea infatti molti rifiuti. Dai residuati degli equipaggiamenti distrutti a ciò che rimane delle munizioni esplose, fino alle macerie dei palazzi, tutti questi materiali andavano smaltiti. Di conseguenza o Israele si troverà a consumare moltissima energia, e di conseguenza a emettere moltissima CO2, oppure queste macerie contamineranno il suolo di Gaza.
In ogni caso, questo studio, benché limitato, sottolinea come dietro alla catastrofe umana della guerra a Gaza si nasconda anche una potenziale catastrofe ambientale. In generale, pone l’attenzione sul fatto che a livello militare, le emissioni siano ancora un tema considerato secondario. Buona parte degli eserciti del mondo non comunica la propria impronta carbonica o utilizza dati parziali forniti su base volontaria.
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