Secondo l’Osservatorio Inps, resta ancora ampio il “gender pay gap” tra uomini e donne. Nel settore privato le lavoratrici guadagnano fino a 8mila euro in meno rispetto ai colleghi maschi
È ancora lunga la strada in Italia verso la parità di genere. A cominciare dal mondo del lavoro, dove il cosiddetto “gender pay gap”, ovvero il divario salariale tra donne e uomini, resta ancora troppo ampio. Secondo gli ultimi dati dell’ultimo Osservatorio Inps sul settore privato, le lavoratrice guadagnano in media 7.922 mila euro l’anno in meno rispetto ai colleghi maschi. Un dato in aumento, seppur di poco, rispetto al 2021 quando era pari a 7.908 euro. A conti fatti, la retribuzione media annua degli uomini ammonta a 26.227 euro, contro i 18.305 delle donne, ovvero il 33% in più.
Uno stato dell’arte riconducibile in parte alla quota delle lavoratrici part-time. Nel 2022 sono state oltre 3,5 milioni contro poco più di 2 milioni di uomini. Nel 2022 il 49% delle donne ha stipulato almeno un rapporto di lavoro a tempo parziale, oltre il doppio rispetto ai colleghi maschi (21%). Una formula che, sommata alle pause tra un rinnovo e l’altro, ha conseguenze anche sul lungo termine con un divario pensionistico che secondo Eurostat nell’Ue arriva fino al 40%.
Del resto il divario di stipendio non è solo legato al genere, ma anche all’età anagrafica e all’area territoriale. Nel primo caso, gli stipendi dei giovani sono inadeguati rispetto al costo della vita e al potere d’acquisto con scarse probabilità di raggiungere gli stipendi degli attuali profili senior. Quanto alle disparità a livello geografico, l’Inps mostra come gli stipendi medi delle aziende private delle regioni di Nord Ovest (26.933 euro) siano decisamente più elevati rispetto al resto d’Italia: 23.947 euro nel Nord Est, 22.115 euro del Centro, 16.959 euro nel sud e 16.641 euro nelle isole, con un divario di oltre 10mila euro.
Se si allarga l’obiettivo all’Europa, il quadro non cambia. Secondo i dati di Eurostat elaborati dalla Commissione europea, la paga media oraria delle donne nell’Europa a 27 è inferiore di circa il 13% rispetto a quella degli uomini. Una differenza che si traduce per le lavoratrici in circa un mese e mezzo di stipendio in meno all’anno. Quest’anno l’Equal Pay Day istituito dall’Unione europea si è celebrato il 15 novembre, non un giorno a caso ma quello in cui idealmente le donne hanno smesso di percepire una retribuzione per tutto il resto del 2023.
Se il divario salariale è ancora troppo elevato, va sottolineata la tendenza positiva registrata negli ultimi dieci anni. Dal 2012 al 2021 infatti il divario retributivo in Europa è passato dal 16,4% al 12,7%.
D’altra parte se si analizza il fenomeno per settori, si scopre una realtà piuttosto eterogenea. In Italia per esempio quello che sconta il divario salariale più ampio tra uomini e donne è lo spettacolo, con i primi che arrivano a guadagnare oltre il 60% in più delle seconde. Seguono le attività professionali con una forbice del 24%, la finanza e le assicurazioni (24%) e la sanità (21%). Il settore più equo invece è quello della gestione dei servizi idrici e dei rifiuti, con un gap retributivo inferiore all’1%. Il campo dove sono le donne a guadagnare di più dei colleghi maschi? Il settore minerario, con le prime che portano a casa uno stipendio più alto del 5%.
Proprio per ridurre il divario salariale tra donne e uomini, il Parlamento europeo lo scorso maggio ha approvato una direttiva sul diritto di lavoratrici e lavoratori alla “trasparenza retributiva”. L’obiettivo ultimo del provvedimento è quello di rimuovere la disparità di retribuzione tra uomini e donne e non di consentire ai lavoratori di conoscere lo stipendio dei colleghi. Come si legge nel provvedimento, la direttiva mira a “rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione”.
Nel testo si afferma per esempio che i candidati a una posizione vacante hanno diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro una serie di informazioni, come la retribuzione iniziale e i criteri utilizzati per determinarla, ma anche i livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, dei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro. Proprio la trasparenza sui livelli retributivi di uomini e donne mira a fare emergere un eventuale divario di genere sul luogo di lavoro.
Ogni dipendente potrà dunque chiedere al datore di lavoro di conoscere i dati relativi alle retribuzioni medie e aggregate ma non lo stipendio del singolo lavoratore, nel rispetto delle norme sulla privacy.
L’azienda avrà l’obbligo di rispondere in “tempi ragionevoli” e comunque entro due mesi dalla richiesta. Allo stesso modo, l’azienda non potrà impedire al lavoratore di rendere nota la propria retribuzione. Sono vietate in particolare le clausole contrattuali che impongono il segreto ai lavoratori. La trasparenza si estende anche agli annunci di lavoro, che dovranno recare informazioni neutre e obiettive sulla retribuzione, mentre durante i colloqui sarà vietato indagare sui salari percepiti in passato.
Nel caso di violazione degli obblighi di parità retributiva, la direttiva chiede agli Stati membri di garantire il diritto del lavoratore a chiedere e ottenere il risarcimento del danno subìto. Per le aziende con più di 100 dipendenti, la direttiva introduce obblighi di comunicazione più stringenti. A partire da giugno 2027, dovranno redigere report periodici sul gender pay gap con riferimento a valori medi e aggregati. E nel caso emergesse un ingiustificato divario retributivo di genere pari o superiore al 5%, il datore di lavoro dovrà adottare misure correttive.
Sul fronte delle sanzioni, incluse le ammende, la direttiva chiede agli Stati membri di introdurre misure “efficaci, proporzionate e dissuasive” con “un reale effetto deterrente” nei confronti delle violazione dei diritti e degli obblighi connessi alla parità di retribuzione. In attesa del recepimento della direttiva, le aziende non avranno carta bianca. Già oggi in Italia sono in vigore strumenti che tutelano i dipendenti dalle discriminazioni salariali. E il caso del Codice delle pari opportunità.
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