Grazie alla diagnosi precoce e alla prevenzione i casi di AIDS sono in costante diminuzione. Il 1° dicembre si celebra la Giornata mondiale
Quasi la metà delle persone che hanno contratto l’HIV (ovvero il 40%) lo ha scoperto per caso e due pazienti su 10 non condividono la notizia per paura di essere giudicati o emarginati.
Questi sono i dati emersi dalla ricerca condotta da Elma Research su 500 persone con HIV e da qui si ispira la campagna Hiv. Ne parliamo? promossa alla vigilia della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra il 1° dicembre di ogni anno.
“Non comunicare la propria condizione di salute significa non avere la piena consapevolezza della gravità della patologia che, grazie a specifici trattamenti, oggi può essere tenuta sotto controllo e garantendo una buona qualità di vita” afferma Gabriella d’Ettorre, professoressa associata del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive all’Università Sapienza di Roma in un’intervista a Sanità Informazione.
Continua d’Ettorre: “Con le nuove terapie antiretrovirali, se regolarmente assunte, il virus diventa non più rilevabile nel sangue e non trasmissibile, come sintetizzato anche nell’evidenza scientifica U=U, Undetectable=Untransmittable, da cui deriva il concetto di Treatment as Prevention”.
Ecco che, in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS il Ministero della Salute ha pubblicato i dati relativi all’incidenza dell’infezione in Italia: le nuove diagnosi sono state 1888, “numero che – sottolinea Gabriella d’Ettorre – conferma il calo dal 2012, nonostante un leggero aumento negli ultimi due anni post Covid-19”.
L’incidenza più elevata delle nuove diagnosi HIV si riscontra nella fascia di età 30-39 anni, mentre fino al 2019 era tra i 25 e i 29 anni.
“La via di trasmissione più frequente – aggiunge l’esperta – restano i rapporti sessuali”. Confermato il trend in corso dal 2016 che vede la riduzione del numero di nuove diagnosi anche tra gli stranieri.
A preoccupare resta il dato dei due terzi di diagnosi tardive, talvolta già in AIDS, a cui si può aggiungere un sommerso stimato in 140mila pazienti inconsapevoli dell’infezione.
Poco più della metà delle persone con infezione da HIV dichiara di conoscere il valore dell’ultima viremia, elemento utile ad identificare, in concerto con il proprio medico, il percorso terapeutico ottimale.
Dall’indagine è emerso anche che il 40% di chi vive con HIV ha appreso dell’infezione casualmente, tramite accertamenti fatti per altra patologia o durante un ricovero ospedaliero.
Inoltre, dopo la scoperta, la quasi totalità delle persone comunica la propria condizione a qualcuno, soprattutto al partner, ai famigliari ed al medico di base, ma si tratta di un coinvolgimento parziale, che esclude gli amici in due casi su tre.
“Considerando che il 95% delle persone comunica l’infezione in modo molto parziale, spesso escludendo familiari e amici, è evidente che c’è ancora una forte componente di stigma e, soprattutto, di autostigma – afferma la professoressa Gabriella d’Ettorre – Abbattere lo stigma e parlare più apertamente di HIV potrebbe indurre molte persone a sottoporsi volontariamente al test, portando alla luce i casi ancora sommersi. Conoscere la propria condizione e, soprattutto, farlo nel minor tempo possibile, permette di accedere alle cure in modo tempestivo, migliorando nettamente la propria qualità di vita ed evitando il peggioramento dell’infezione”
C’è ancora però molta strada da fare anche in termini di aderenza alla terapia, poiché più di un terzo delle persone che vivono con HIV non sempre assume correttamente la terapia.
Affinché il livello di aderenza possa migliorare, i pazienti chiedono facilitazione nell’approvigionamento – quindi un maggior numero di confezioni disponibili e maggiore facilità per il ritiro dei farmaci -, contenimento degli effetti collaterali e facilità di assunzione.
“Essere aderenti vuol dire poter abbassare la carica virale rendendo non trasmissibile il virus, impedendone il passaggio ad altre persone e contenendo la diffusione dell’infezione nella società (è l’equazione U = U Undetectable꞊Untransmittable). Assumere la terapia nel modo corretto, infatti, vuol dire anche diminuire drasticamente la probabilità di comparsa di mutazioni del virus che possono provocare resistenze ai farmaci anti-HIV“, sottolinea l’infettivologa.
Infine viene richiesta maggiore attenzione anche alla salute mentale. Ansia, malumore, disturbi del sonno, leggera depressione sono sintomi comuni a molte persone che vivono con HIV e questo può generare difficoltà nella vita quotidiana.
Molti sentono di essere discriminati ed avvertono un forte impatto sulla qualità della propria vita, soprattutto per quanto riguarda la serenità psicologica, la vita sessuale, le relazioni con gli altri e con se stessi.
“Ma dietro alcuni di questi disturbi può esserci una causa biologica, legata agli effetti del virus o della stessa terapia antiretrovirale. In tale contesto, il dialogo medico-paziente ha un ruolo cruciale per prendere consapevolezza e affrontare queste problematiche, non solo dal punto di vista delle scelte terapeutiche – conclude la specialista d’Ettorre -, ma anche per indirizzare chi ne ha bisogno verso un percorso integrato di tipo multidisciplinare”.
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