Che cosa si intende quando si parla di agromining? Come è possibile estrarre elementi preziosi per la transizione energetica da alcune specie di piante? Proviamo a rispondere a queste domande, andando alla scoperta di una tecnica dalle enormi potenzialità
In un Mondo giustamente sempre più attento al fondamentale aspetto della cosiddetta transizione ecologica, una tecnica che merita di essere analizzata a fondo è l’agromining, considerata la prossima frontiera sostenibile per riuscire a estrarre metalli preziosi.
Essa permette infatti di ricavare questi elementi non dalle classiche miniere, bensì dalle piante. Un’innovazione davvero particolare e di grande rilievo per il futuro del Pianeta.
Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta, così da comprendere in quale modo si applichi concretamente tale tecnica e quali risorse sia possibile ricavare.
Che cos’è l’agromining
L’agromining viene definito in ambito tecnico come il processo di coltivazione di piante che assorbono il metallo dal suolo.
Ciò significa che tale meccanismo permette di pulire terreni contaminati e, soprattutto, di raccogliere componenti come il nichel o il cobalto, senza dover creare dei buchi artificiali nel terreno, preservando così gli ecosistemi circostanti.
Per poter ricavare dei risultati tangibili, l’agromining deve essere compiuto servendosi dell’utilizzo di piante idonee a vivere nei cosiddetti terreni ultramafici, ovvero quelli in cui si trovano solitamente ricche concentrazioni di cromo, nichel e cobalto, ma allo stesso tempo anche una carenza di nutrienti essenziali.
Una serie di caratteristiche che rendono questi tipi di terreni poco adatti per essere destinati all’agricoltura tradizionale, rivelandosi invece i luoghi perfetti per operare un prezioso recupero dei metalli.
Dal nichel al cobalto, dal manganese allo zinco, dall’oro alle terre rare. Grazie all’agromining, tutti questi elementi possono essere ricavati in maniera più sostenibile rispetto al tradizionale processo estrattivo che avviene nelle miniere.
In tutto il Mondo esistono infatti circa 700 specie di piante differenti capaci di accumulare vari minerali nelle proprie foglie, in maniera costante e consistente.
La Pycnandra acuminata tropicale, per esempio, è una pianta tipica dell’Indonesia in grado di accumulare fino al 4% di nichel nelle proprie foglie.
Parliamo di un metallo estremamente prezioso e ricercato per la produzione di batterie agli ioni di litio, motivo per cui il suo prezzo è aumentato considerevolmente nel corso degli ultimi anni.
Da qui la necessità di estrarne in quantitativi sempre maggiori, anche per mezzo di tecniche più economiche e sostenibili.
Ed è proprio qui che entra in gioco l’agromining, con la coltivazione di quelle specie vegetali capaci di accumulare minerali nelle proprie foglie.
I cosiddetti iperaccumulatori, come l’alisso di Bertoloni (accumulatore di nichel, ndr), la felce Dicranopteris linearis (accumulatrice di terre rare come neodimio, praseodimio, cerio e lantanio, ndr), la Noccaea caerulescens (accumulatrice di cadmio e zinco, ndr), la Phyllanthus balgooyi (accumulatrice di nichel, ndr) o il legno di macadamia (accumulatore di manganese, ndr).
Nello specifico, queste piante vengono coltivate e poi i loro rami vengono tagliati e bruciati, così che dalle ceneri si possano ricavare i metalli accumulati nel tempo, attraverso successivi trattamenti chimici necessari.
Una tecnica da valorizzare
Il metallo è un alimento solitamente tossico per i vegetali, motivo per cui essi mettono in atto alcune reazioni utili a proteggersi da eventuali danni.
Una di queste è il già citato iperaccumulo, tecnica che diverse piante usano per stipare tutti i metalli nelle proprie foglie, preservando così il resto del proprio corpo.
Si tratta di un espediente davvero ingegnoso e che aiuta le piante a proteggersi anche dagli animali erbivori, in quando il proprio sapore diventa più sgradevole e quindi le proprie foglie meno mangiabili.
L’agromining può essere considerato, a titolo, una variante della fitoestrazione, tecnica che sfrutta sempre le piante iperaccumulatrici per assorbire il metallo nella biomassa vegetale raccoglibile.
Ciò che si ricava è un biominerale di elevata qualità, utile a essere impiegato per vari scopi.
Per questo motivo l’agromining è considerata una tecnica all’avanguardia e dal grande valore espresso, ma anche potenziale.
Questa metodologia è infatti in grado di generare molteplici opportunità, dal momento che l’energia prodotta dalla combustione delle piante può essere, per esempio, usata per generare elettricità e riscaldamento.
O ancora, le ceneri rimanenti dopo l’estrazione dei metalli possono essere utilizzate come fertilizzante per nuove colture.
Si finisce così con l’alimentare un’economia circolare, con il processo di estrazione naturale tipico dell’agromining che produce due scopi e vantaggi essenziali: recuperare metalli e disintossicare i terreni contaminati.
È poi doveroso specificare come tale tecnica non contrasti affatto con l’agricoltura, settore al quale è invece complementare.
Anzi, potremmo dire che l’agromining è utile all’agricoltura, in quanto restituisce terreni più puliti, fertili e pronti per essere coltivati in maniera differente.
Potrebbe fornire infatti un tipo alternativo di agricoltura su terreni degradati alle comunità locali, magari non per colture alimentari, ma per metalli (viene così rispettata la biodiversità e il lavoro degli agricoltori locali, ndr).
Non solo. Stando a quanto riportato da diversi studiosi in materia, l’agromining sarebbe anche un viatico alla decarbonizzazione del settore minerario estrattivo, il quale ancora oggi risulta estremamente impattante sull’ambiente (il nichel, per esempio, ha la più alta intensità di CO2 tra tutti i metalli, ndr).
Come avrete ormai capito, l’agromining rappresenta quindi un’enorme risorsa per l’Uomo e per la Terra, motivo per cui la speranza è che questo tipo di applicativo possa continuare a crescere, svilupparsi ed espandersi nel prossimo futuro.
Le potenzialità non mancano di certo. Basta guardare i risultati espressi dal progetto di ricerca europeo Life-Agromine, per cui i terreni ultramafici in Europa coprono circa 10.000 chilometri quadrati.
Lo stesso progetto, risalente al 2020, permette poi di notare come, su 20 ettari coltivati in Albania e in Grecia quell’anno, si siano ricavate dalle 7 alle 15 tonnellate di biomassa per ettaro e dai 90 ai 160 kg di nichel per ettaro.
Numeri che confermano le grandi potenzialità dell’agromining, essenziale nella generazione e nella pratica della cosiddetta “farming for metals”, ovvero l’agricoltura dei metalli.
L’estrazione del nichel attraverso il processo di agromining, per esempio, è già oggetto di un brevetto internazionale, in quanto ha dimostrato di riuscire a ottenere metalli dal terreno, restituendo fertilità e salute a quest’ultimo.
L’agromining potrebbe quindi essere sfruttato per bonificare ex siti minerari, così come per trasformare il legname metallico in biomasse di integratori alimentari o, ancora, per applicazioni mediche.
Una serie di applicativi differenti che dimostra quanto l’agromining possa giocare un ruolo fondamentale per la futura vita sulla Terra.